Tradizioni e cultura17 dicembre 2019

La città sovietica – Parte I

Viaggio nelle tipologie abitative all’epoca socialismo reale in Moldova

La città sovietica – Parte I

A quasi trent’anni dall’indipendenza, il patrimonio immobiliare urbano di Chişinău (ma potremo dire la stessa cosa per il resto della Moldova) risulta ancora composto in buona parte da edifici costruiti durante il periodo sovietico.

I modelli abitativi seguono, come nel resto dell’Unione Sovietica, la distinzione relativa alle varie fasi politiche: stalinki, khrushchevki, brezhnevki non sono altro che tipologie edilizie che testimoniano le idee sociali dei leader che si sono succeduti al Cremlino e che custodiscono la storia del “collettivismo sovietico”.

L’edilizia residenziale sovietica non ha rappresentato solo un insieme di edifici simbolo di un’epoca, ma è stata anche un veicolo di consenso e di propaganda politica, oltre che d’identità, soprattutto nelle Repubbliche più periferiche. 

Dopo la rivoluzione, eliminata la proprietà privata, il patrimonio immobiliare venne trasferito interamente allo Stato. Sono anni difficili in cui la gente arrivava nelle città in cerca di un modo per sopravvivere. Se trovavano lavoro, i nuovi arrivati potevano farsi assegnare una stanza in un appartamento comunitario (kommunalka), condividendo cucina, corridoio e gabinetto. La vita nelle kommunalki rappresenta un aspetto che caratterizza l’URSS e la disillusione una volta affievolite le iniziali passioni ideali. E’ una tipologia edilizia che attraversa tutta l’epoca sovietica. Non è uno stile di vita esaltante, ma comunque ha funzionato: la coabitazione con estranei nello stesso appartamento è stato un fenomeno unico e tipicamente sovietico, contadini diventavano coinquilini di intellettuali, l'ideologia ufficiale non ammetteva distinzioni di classe.

Nei primi piani quinquennali (1928-1936), il processo di collettivizzazione e industrializzazione si scontra con le avanguardie architettoniche originate nell’ambiente culturale che precede la rivoluzione: il conflitto politico tra centralizzazione e decentramento urbano si risolve facendo naufragare il messaggio innovativo delle ricerche per la città moderna, più probabilmente per la mancanza di effettive capacità tecnologiche del Paese.

Il Piano di ricostruzione di Mosca (1932-1935), inaugura il nuovo corso politico diventando un modello d’intervento applicabile su scala nazionale e in definitiva un piano attuativo dell’utopia socialista in forma di spazio urbano. Gli interventi architettonici, in particolare quelli riferiti ad attrezzature collettive nei nuovi quartieri operai, sono da attribuire a politiche isolate di pianificazione urbana e non alla sfera statale che appare ancora frammentata: molte di queste opere, in alcuni casi veri e propri capolavori del “movimento moderno”, sono affidate ai più importanti architetti e urbanisti dell’epoca tra cui Le Corbusier, Albert Kahn, Bruno Taut, Ernst May con la “Brigata May”, di cui faceva parte Mart Stam, giusto per citarne alcuni.

Le distruzioni subite dalle città dell’URSS nella guerra mondiale condizionano il dibattito sulla ricostruzione: le trasformazioni sociali determinano una crescente urbanizzazione e causano problemi abitativi e igienici, per l’impegno delle energie statali nell’industrializzazione del Paese. Nei villaggi operai, presso le fabbriche o nelle aree urbane periferiche, vennero realizzate le stalinki, edifici i cui appartamenti avevano stanze comunicanti, talvolta privi di bagno, e la quasi assenza di elementi decorativi superflui.

Esistono anche altre stalinki, realizzate tra il ’30 e ’50, in stile neoclassico, destinate all’élite della nomenklatura (funzionari di partito, dell’esercito o dei servizi segreti, dell’intellighenzia): a differenza di quelle popolari, la caratteristica principale è data dalla monumentalità e dalle dimensione degli appartamenti, composti da più camere, soffitti alti, muri spessi e l’uso del mattone per le facciate. Le planimetrie erano ottimamente progettate: le dimensioni delle stanze erano grandi, dai 15 ai 25 mq, e talvolta persino 30, e in molti appartamenti erano previsti locali a uso studio, cucine spaziose, servizi igienici doppi.

Di solito gli edifici “dirigenziali” erano intonacati e decorati con stucchi, eretti nel centro città, in prossimità di piazze. Questi edifici erano una testimonianza dei ruoli sociali dell’epoca: l’uguaglianza proclamata esteriormente in realtà era una rappresentazione della società rigorosamente divisa in due classi distinte.

La morte di Stalin avrà ripercussioni anche sulle vicende architettoniche e urbanistiche dell’Unione Sovietica.

Carlo Policano

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