Enogastronomia21 maggio 2019

Olivier, ovvero l’insalata russa

Un piatto conosciuto in tutto il mondo, ultimo relitto della Rivoluzione d’Ottobre

Olivier, ovvero l’insalata russa

Se l’insalata russa non vi ha mai fatto impazzire, c’è una spiegazione. O meglio un colpevole. Perchè in fondo a queste storie che meritano di essere conosciute, c’è davvero un colpevole e si chiama Vladimir Il'ič Ul'janov, forse più conosciuto con il nome di Lenin.

Ma andiamo per ordine. La storia di questo piatto è complicata e incerta: difficile stabilire quale sia la verità per un piatto che ha una storia confusa almeno quanto la sua ricetta e che nel corso degli anni ha cambiato quasi tutti i suoi ingredienti.

A creare ulteriore confusione poi c’è anche il nome: in Italia si chiama insalata russa, ma cambia nome quando oltrepassiamo i confini. In Lituania ad esempio la chiamano insalata bianca, in Germania e Danimarca è l’insalata italiana.

E in Russia? Il complesso piatto freddo ricoperto di maionese porta il nome del suo inventore. Se vi sembra troppo complicato, pensate che la prima insalata russa della storia probabilmente non era propriamente russa. E a ben guardare non era nemmeno un’insalata.

Ma provate pure per un attimo a dimenticare le patate lesse  e il salame cubetti, la verdura tagliata a pezzetti, gli immancabili cetrioli in salamoia, le uova sode e i piselli, le carote lesse, per dare un tocco di colore, e l’abbondante maionese industriale.

L’insalata russa non è questa cosa qua e non si chiama nemmeno “russa” ma prende la denominazione dal cognome del gestore dell’Hermitage, il più noto ristorante modaiolo di cucina francese di lusso a Mosca negli anni ’60 del XIX secolo, un certo Lucien Olivier, un cuoco belga o francese.

Il ristorante era alla pari di un vero ristorante francese e il piatto simbolo della casa era appunto l’insalata Olivier.

Ma come doveva essere l’insalata non comunista? Era preparata con selvaggina (Francolino di monte, parente del fagiano), lingua di vacca, crostacei, ricoperti di gelatina e maionese, allora sconosciuta in Russia, con l’aggiunta, a scopo decorativo, di patate, tartufi, sottaceti, uova e caviale. Il risultato era completamente diverso dall’insalata russa attuale.

Si narra che Olivier vide uno dei suoi clienti mischiare tutti gli ingredienti con la salsa, distruggendo l’elaborato design del piatto. Permaloso, come la maggior parte dei cuochi, Olivier nei giorni seguenti servì il piatto nella versione “mescolata”. Fu un successo straordinario e inaspettato: in poco tempo divenne il piatto più richiesto della capitale russa (San Pietroburgo a quel tempo) e dei banchetti ufficiali, come quello del matrimonio di Tchaikovsky o quello in onore di Dostoevskij, e diventò il piatto simbolo del locale fino alla sua chiusura nel 1917, dopo la Rivoluzione. Olivier disorientato non rivelò mai i segreti della sua ricetta e, dopo la sua morte, nessun altro riuscì a riprodurla, anche se tutti gli ingredienti erano conosciuti.

Dopo la rivoluzione russa del 1917, l’influenza francese in cucina non era più vista così di buon occhio e gli ingredienti più costosi cominciavano a scarseggiare. E fu proprio per colpa della rivoluzione socialista (e quindi di Lenin) che si volle trasformare un piatto per ricchi, con tanto di pregiata selvaggina, in un piatto proletario adatto alle bocche del popolo con la falce e martello.

La versione sovietica, prevedeva il pollo al posto della selvaggina e le carote grattugiate invece del granchio. Caviale, capperi e sottaceti lasciarono il posto ai piselli in scatola. Del piatto originario alla fine rimasero praticamente soltanto le patate e la maionese, ormai una delle salse preferite dai russi.

Da allora l’insalata entrò a far parte dei piatti simbolo dell’epoca e, successivamente, si diffuse in tutto il mondo con il nome di insalata russa, ultimo relitto della Rivoluzione d’Ottobre.

Carlo Policano

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