Luoghi07 maggio 2019

Il cuore nascosto degli Armeni – Parte II

Venite con noi alla scoperta dei luoghi preferiti dagli aristocratici di Chişinău

Il cuore nascosto degli Armeni – Parte II

La comunità armena ha lasciato segni nella geografia dei luoghi di Chişinău marcando spazi strettamente legati all'evoluzione storica della comunità e della città.

C’è una strada, nella parte centrale della capitale, chiamata Armeneasca, che è il luogo che segna la memoria e l’identità degli armeni: la percezione della strada da parte degli abitanti è legata all'esistenza che questa etnia ha avuto qui nel passato.

La strada, nella parte centrale della città, asse tra le vie Mateevici e Cojocarii, era nella zona che comprendeva la residenza del vescovo armeno in Bessarabia, tra due quartieri adiacenti, delimitati dalle attuali Strada Armenească, Ștefan cel Mare, Tighina e 31 August 1989.

La maggior parte degli abitanti era costituita da mercanti e artigiani: nel XIX secolo, la residenza del vescovo, insieme a molte case dei coloni armeni, fu distrutta da un incendio. Solo alcuni dei vecchi edifici si sono conservati fino ad oggi, dominati da nuovi edifici residenziali a più piani, da edifici di imprese industriali e di istituzioni amministrative e pubbliche.

Esistono anche altri luoghi che nell’immaginario collettivo ricordano questo popolo, come il cimitero centrale denominato impropriamente “armeno” a causa della vicinanza a questa strada, anche se il vero cimitero armeno (detto anche cattolico) è in un'altra parte della città, precisamente in Strada Valea Trandafirilor. 

Ma la comunità armena ha un cuore segreto: si chiama “Curtea Armenească” (corte armena) che si trova nella parte sud-orientale del centro storico della vecchia Chişinău (str. Piaţa Veche), un importante punto di riferimento nella pianificazione urbana. Nei primi anni del XIX secolo, questo posto era molto popolare, perfino Aleksandr Puškin veniva spesso nelle case della corte armena mentre era in esilio.

Proprio qui si trova la chiesa di questa comunità, costruita dopo il forte terremoto del 1802 e consacrata nel dicembre 1804, utilizzando le fondamenta di una vecchia chiesa moldava (Biserica Domnească Sf. Ierarh Nicolae), eretta nel 1645 ma che già nel 1741 era ridotta in rovina.

La chiesa, che divenuterà Biserică Armenească dopo l'entrata in possesso della comunità armena, subì tra il 1872 e il 1885 alcune importanti modifiche e aggiunte che la renderanno più simile alla tipologia dell’architettura religiosa armena, come il portico e il campanile ad opera dell’architetto Alexandru Bernardazzi. In questa chiesa è sepolto Manuc Bey Mârzaian, una delle personalità eminenti del tempo, figura eccezionale ma anche controversa della comunità armena.

L’architettura religiosa armena, dalle forme e dagli spazi geometricamente definiti, ostile ad ogni “retorica” stilistica, lineare, essenziale, offre una delle espressioni più felici della spiritualità cristiana: in genere non raggiungono grandi dimensioni, indipendentemente dalla latitudine del luogo di costruzione.

L’importanza verticale dell’intera struttura, la cui altezza spesso supera la lunghezza della chiesa, sono facilmente riconoscibili in quanto ogni chiesa somiglia all’altra in una ripetizione continua di moduli architettonici, con poche ed essenziali variazioni.

La chiesa di Chişinău non fa eccezione: l’impianto ad un’unica navata, allungata, ed abside semicircolare, ha la struttura di base sormontata da una cuspide, piramidale, che cela la calotta della cupola, l’unica parte della chiesa affrescata; l’interno è raccolto, spoglio, essenziale e l’illuminazione scarsa, per aiutare la concentrazione nella preghiera.

La chiesa, durante il periodo sovietico fu utilizzata, come magazzino: dopo l'Indipendenza della Moldova (27 agosto 1991), nel momento in cui le condizioni furono favorevoli per la promozione del pluralismo religioso, la comunità armena ha ripreso il possesso della chiesa (1992). La chiesa ha ripreso le sue funzioni solo il 19 giugno del 1993.

 

 

Le foto di copertina sono di Lorenzo Colombo, a cui va il nostro ringraziamento.

 

Carlo Policano

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