Nella lingua slava antica, la parola Chernobyl significava assenzio. Si suppone che si tratti della pianta curativa invocata dai poeti dalla quale un tempo si estraeva veleno: un’ipotesi che apparterebbe al patrimonio popolare del territorio bielorusso e ucraino ricoperto da boschi di pini, aceri e betulle, tra i più pittoreschi al mondo.
Chernobyl oggi, invece, è associata alla notte tra il 25 e il 26 aprile del 1986 quando questo luogo diventò improvvisamente famoso in tutto il mondo: il disastro nucleare che qui avvenne è considerato il più grave della storia.
Chernobyl lascia alle future generazioni enormi problemi, a cominciare dal materiale radioattivo che c’era nel raggio di trenta chilometri dalla centrale, compresa un’intera foresta, ora sepolti sotto uno strato di terra. E storie, di dolore e di morte, sepolte anch’esse da un dibattito disonesto mosso sovente da squallidi interessi. Come quella di Pavel Nică, giornalista e scrittore, nato nel piccolo villaggio di Hiliuți (Rîșcani), nel nord della Moldova: perseguitato dal KGB, incarcerato e privato della possibilità di svolgere ogni tipo di attività lavorativa per molti anni.
Nell’autunno del 1987, a poco più di un anno dall’esplosione del reattore n. 4 della centrale atomica, Nică viene inviato per conto del settimanale “Literatura şi Arta” di Chișinău sulla scena di Chernobyl (sulla base di un volontarismo obbligatorio). Tutti gli articoli da lui scritti sulla tragedia, le sue inchieste, da quella data in poi, furono regolarmente censurate, dalla Moldavia sovietica, in un primo tempo, e dalla Moldova “democratica”, uscita dal crollo dell’ex Unione Sovietica, dopo.
Pavel Nică ha impiegato sedici anni per far conoscere al grande pubblico, attraverso la sua testimonianza diretta, la verità su quanto accaduto a Chernobyl. Anni di censure e di silenzi sugli effetti della catastrofe, bugie sulle ragioni dell’incidente.
Una lotta contro la disinformazione di regime, contro le menzogne dell’Urss sulle reali cause e sui veri effetti dell’incidente nucleare e anche sulla vigliaccheria stessa dei comunisti sovietici che distribuirono in tutta l’Urss, tranne che a Mosca o nelle grandi città, la carne prodotta nei pressi del reattore nucleare, pensando di dimostrare così che a Chernobyl in fondo non era successo nulla.
Fare informazione sul nucleare è difficile perché, dovunque nasce, costruisce muri di difesa, attraverso la disinformazione. C’è una natura “autoritaria” in quello che succede attorno alle centrali nucleari: dovunque è una “questione strategica, di Stato”, nel nome del quale tutto passa in secondo piano. Anche la vita dei quarantamila soldati di leva, ragazzini gettati, dopo l’esplosione, nell’inferno di Chernobyl a raccogliere a mani nude quel che restava del reattore nucleare.
E’ solo nel 2003 che Pavel Nică riuscirà a raccontare quello che ha visto, che ha vissuto e che ha scoperto sulla tragedia nucleare: lo farà attraverso il suo libro “Chernobyl. La tragedia del XX secolo”. Il libro è il risultato di un’inchiesta giornalistica approfondita: Nică, scrupoloso testimone, ha pagato con la propria vita l’amore per la verità. Morirà nel 2009 per un cancro alla tiroide contratto a causa dell’esposizione alle radiazioni nucleari, insieme ad altri quattro giornalisti, per rendere i rapporti dalla scena.
E’ un omaggio alla memoria di quanti persero la propria vita nel tentativo di salvare quella degli altri ma che non videro mai riconosciuto il loro eroismo da parte di un regime, quello sovietico, che fin dal primo momento cercò di cancellare quell’evento, un’accusa troppo pesante del fallimento del socialismo reale.
C’è un filo conduttore che lega le pagine di Nica: la mancanza di trasparenza e la gestione autoritaria che accompagnano, sin dalle prime ore, i fatti di Cernobyl. Emerge la rabbia verso un sistema politico che si è reso responsabile di tanto dolore nascondendo le responsabilità e la reale portata di quanto successo.
Colpisce l'umanità di Pavel Nică che si respira ad ogni pagina: è un testo che parla della vita delle persone, delle loro paure, dei loro problemi. Delle loro (forse) speranze: come Andrei “ometto riservato e timido”, morto giovanissimo, che contava i suoi anni dividendoli in due (prima e dopo l'esplosione). Difficilmente potranno essere dimenticati.