Tradizioni e cultura27 agosto 2018

L’Uro, il simbolo perduto della Moldova

Presente nella bandiera come un emblema potente della propria identità

L’Uro, il simbolo perduto della Moldova

Ci sono dei simboli, come la bandiera, che hanno un forte impatto e nella quale tutti noi ci identifichiamo. Manufatto di sintesi, metafora forte, capace di riassumere, anche solo con quel tocco di colore, la complessità di un popolo e di una nazione: la bandiera è, o dovrebbe essere, tutto questo, un simbolo d’identità, di coesione e di appartenenza.

Tra le figure che appaiono nella bandiera moldava, complessi da poter essere compresi con immediatezza, c’è n’è uno che focalizza maggiormente l’attenzione e che riflette fonti e tradizioni storiche: è la “testa di Uro” (“cap de bour”), il “simbolo mancante”, come viene spesso definito dagli stessi moldavi.

E’ il progenitore dei nostri tori, protagonista di una delle prime forme d’arte dell’intera storia dell’umanità: la sua sagoma e i suoi colori sono fra i più rappresentativi delle magnifiche pitture delle grotte preistoriche, a partire da quelle di Lascaux, Altamira e Papasidero.

Giulio Cesare li ha descritti nel De bello gallico come animali “di dimensioni un po’ sotto l'elefante, forti, estremamente veloci”.

Ne esistevano tre sottospecie diverse, tutte scomparse: l’Uro asiatico, quello africano e quello che viveva nelle nostre terre, l’Uro Europeo (Bos primigenius primigenius), il più massiccio ed aggressivo, molto più grande dei suoi parenti, antenato diretto delle razze primitive di mucche in Europa e in Asia centrale. 

Una delle sue caratteristiche principali, che si riscontrano raramente nei bovini moderni, era la forma delle corna, curvate in avanti, a forma di lira: nelle culture antiche ucciderne uno era visto come un atto di grande coraggio.

Ma qualunque sia stata la storia, gli Uri selvatici divennero oggetto di caccia sconsiderata: il fatto di essere grossi e aggressivi faceva di loro un trofeo molto ambito.

Già nel 1200 la loro zona di diffusione si era ristretta praticamente alla sola Europa dell’Est (Moldova compresa) e a qualche zona della Germania: nonostante questo, l’Uro continuò ad essere una delle prede preferite delle battute di caccia organizzate dai nobili. La deforestazione e la trasformazione delle grandi pianure dell’Europa centrale in terreni agricoli, già all’inizio del XVI° secolo, contribuirono ad accelerare la loro scomparsa. 

Ad un certo punto la loro caccia fu anche vietata, una sorta di salvaguardia, naturalmente solo a chi non era nobile. Tutto questo non servì a salvarlo e a metà del ‘500 ne restavano soltanto una cinquantina di esemplari: l’ultimo, di cui si ha notizia certa, una femmina, morì nel 1627 in Polonia

L’Uro è una delle poche specie animali che abbia anche una storia successiva alla sua estinzione, ed è una storia del tutto particolare. L'ultima volta che ci fu un tentativo di ricreare l'animale è stato per ordine esplicito di Hitler, che ordinò a un paio di zoologi tedeschi di ricreare l'Uro, come parte del credo del Terzo Reich in superiorità razziale.

Dal XIV° secolo, la testa dell’Uro entrò nello stemma della Moldova: ne divenne il simbolo, forza smisurata, animale braccato e animale guida, scelto e destinato a rappresentare una comunità, proprio come ai tempi dei Daci, dove l'animale era venerato. L’aspetto frontale ne simboleggia il potere del sole, la rinascita.

L’Uro rimane un animale leggendario di cui non sappiamo molto, antenato diretto di tutti i bovini domestici, spesso confuso con lo Zimbru o il Toro, divenuto oramai animale simbolo della Moldova.

Carlo Policano

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