Luoghi09 aprile 2019

Soroca: la capitale mondiale dei Rom – Parte I

Vivere sul confine, tra forme di discriminazione e scelte di integrazione

Soroca: la capitale mondiale dei Rom – Parte I

Nell’immaginario collettivo, quando si parla di rom ci si riferisce ad un popolo omogeneo, detentore di una cultura e di una lingua: in realtà, ci troviamo a che fare con comunità di persone diverse tra loro, un’etichetta generica per incorporare una molteplicità di etnie sparse in tutto il vecchio continente.

Dei rom, quelli che volgarmente chiamiamo zingari, non sappiamo niente, neanche come chiamarli. Non sappiamo nulla delle loro peregrinazioni secolari, dei loro viaggi senza meta, anche se loro non si preoccupano neanche di averne una.

Per la loro "diversità" i rom sono stati da sempre perseguitati: non hanno mai avuto territori o eserciti per difenderli, né alleati, né potere politico, inermi davanti a qualsiasi regime, antico o moderno, non riconoscendo l’idea di Stato in quanto non percepiscono i loro confini.

Sono il popolo più martoriato e odiato nella storia, senza aver mai mosso guerra, depredato e sterminato come nessun altro popolo. E’ un popolo che meriterebbe, secondo Fabrizio De André, il premio Nobel per la Pace in quanto popolo per il fatto che gira il mondo da più di 2000 anni senza armi.

Il viaggio del popolo Rom è da secoli avvolto nel mistero, a cominciare dalle origini: tra il I e il IX sec. carestie e guerre spinsero più volte gli abitanti del Rajasthan, in India, a spostarsi verso la Persia e l’Armenia. Parlavano una strana lingua, il Sanscrito, solo oralmente, che continuamente si arricchisce di vocaboli dei diversi popoli che incontrano lungo il loro continuo peregrinare: si comprende che un popolo senza scrittura deve affidare il compito di trasmettere la propria storia e cultura, quella che conosciamo, ai gagé (i "non zingari"), scarsamente attendibile.

Facevano come mestiere, se tale lo si può considerare, quello del mago e dell’indovino. La necessità di spostarsi li ha resi ottimi artigiani (fabbri, calderai), musicisti o commercianti di cavalli, attività creative che facilitavano i rapporti umani, oltre ad essere fonte di ricchezza per la comunità grazie alla pratica del baratto. Con il passare del tempo, sparita l'usanza del baratto, hanno dovuto trovare fonti alternative per potersi mantenere.

Nei lager nazisti, insieme a ebrei e omosessuali, morirono mezzo milione di rom e sinti: fu la grande distruzione (porrajmos). Gli “zingari” furono perseguitati, sterilizzati in massa, usati come cavie per esperimenti ed infine destinati alle camere a gas. Nessun superstite venne chiamato a testimoniare nei processi ai gerarchi nazisti, neppure a Norimberga e quando i sopravvissuti si decisero a chiedere un risarcimento allo stato tedesco, questo fu loro negato con il pretesto che le persecuzioni subite non erano motivate da ragioni razziali ma dalla loro “asocialità”.

I rom non hanno mai cercato, né voluto, una “terra promessa”, come nel caso degli ebrei.

Mi si dirà che gli zingari rubano. E’ vero. D’altra parte si difendono come possono: si sa bene che l’industria ha fatto chiudere diversi mercati artigianali. Buona parte dei Rom erano e sono ancora artigiani, lavoratori di metalli, in special modo del rame, addestratori di cavalli e giostrai, tutti mestieri che, purtroppo, sono caduti in disuso. Però devo aggiungere che non ho mai sentito dire, non ho mai visto scritto che uno zingaro abbia rubato tramite banca”, raccontava Fabrizio De Andrè.

L’emarginazione e la ghettizzazione sono un terreno pericoloso per qualsiasi etnia o popolo. L’ipocrisia della nostra società è quella di emarginare i poveri e di adulare i veri ladri: i ricchi, gli speculatori, i politici corrotti. Il “nostro” mondo alza muri e barricate ovunque, salvo scoprire, in seguito, che la minaccia più grossa è proprio la nostra chiusura da ciò che non conosciamo, da ciò che è diverso e da noi stessi.

Forse è giunto il momento di ribaltare l’intera questione e ripartire proprio da loro.  

Carlo Policano

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