Christopher Herwig ha viaggiato per oltre 30.000 km, con svariati mezzi di trasporto, in 13 Paesi dell’ex Unione Sovietica per scoprire e documentare, in 159 immagini scelte per il suo libro Soviet Bus Stops, il decadimento di questi tesori nascosti dell’arte moderna.
Dalle rive del Mar Nero all’interminabile steppa kazaka, passando per la Moldova, queste fermate degli autobus testimoniano l’intera gamma dell’arte pubblica risalente all’epoca sovietica.
Le fermate dei bus hanno rappresentato, per gli artisti e gli architetti dell’epoca sovietica, un terreno fertile di sperimentazione artistica che diede vita a una incredibile varietà di stili, dal brutalismo al simbolismo e ci permettono di dare uno sguardo nelle menti più creative di quel tempo.
Costruite senza vincoli di progettazione paesaggistica, atipiche e senza alcuna preoccupazione di bilancio, le fermate degli autobus rappresentano e documentano un certo periodo della storia dell’ex Unione sovietica. Molte di esse, probabilmente costruite con materiali non di primissima scelta, cominciano a risentire del peso degli anni. Non sappiamo se saranno restaurate o demolite. Di certo non meritano la nostra ironia.
Perché un regime monolitico, dove gli stessi principi dell’arte erano calati dall’alto, possa aver consentito queste bizzarre sculture? “Perché erano solo fermate d’autobus periferiche, un genere d’architettura minore che non metteva in discussione i canoni estetici del sistema”.
Nell’Urss soggetta alla censura, «artisti e architetti locali erano liberi di creare. Costruire fermate d’autobus era un mezzo per infrangere la monotonia della realtà sovietica e per valorizzare lo stile locale», sostiene Herwig.
Che quelle pensiline non fossero proprio funzionali e non servissero sempre a proteggere dalla pioggia o dal vento è un altro discorso. L’immaginazione aveva comunque potuto esprimersi. E l’attesa di una corriera sempre in ritardo era forse meno tediosa. «Sono stato affascinato dalle matrici comuniste di quelle opere, dalla loro collocazione in quegli spazi senza fine e spesso vuoti. Mi ha eccitato scoprire luoghi dove non sarei mai andato, senza questo progetto», dice Herwig.